
Il bisogno di un confronto tardivo
«Le cose che più mi mancano di mio padre sono la sua ironia e la sua capacità di analisi del mondo». Anna Negri, regista classe 1964, pronuncia queste parole mentre rievoca l’ultima, intensa conversazione con Toni Negri, filosofo simbolo di una stagione politica turbolenta. Nel film «Toni mio padre», presentato alle Notti veneziane durante la Mostra di Venezia e in uscita nelle sale italiane dal 10 novembre grazie alla distribuzione Wanted, la cineasta ricompone i frammenti di un legame interrotto da arresti, processi, latitanza.
Un rapporto segnato da assenze e idealismo
Dal momento in cui il cognome Negri venne associato, prima dell’assoluzione, all’idea di un «capo occulto» del terrorismo, la figlia ha dovuto difendersi da un’eredità pesante. Anna e Toni hanno condiviso soltanto quattordici anni di quotidianità; il resto è stato fatto di visite in carcere, lunghe distanze, silenzi. La macchina da presa diventa così lo spazio dove padre e figlia provano a colmare decenni di domande inevase.
La regista confessa di aver sentito un’urgenza: filmare prima che l’età avanzata rendesse impossibile il confronto. Rivedendosi in montaggio, ammette di aver usato toni forse troppo severi, ma riconosce al padre la generosità di essersi lasciato riprendere, offrendo una fiducia enorme al suo lavoro.
La speranza in un mondo che si oscura
Negli ultimi mesi di vita, Toni osservava con amarezza il riaccendersi del conflitto israelo-palestinese. Eppure, restava convinto che la bontà umana potesse ancora prevalere. Questa tensione tra disincanto e ideale attraversa l’intero documentario,che si trasforma in un viaggio dentro la storia del Novecento: le grandi speranze rivoluzionarie,la stagione dell’impegno,la repressione,l’esilio.
Cinema che diventa teatro della verità
Girando, Anna Negri ha spesso avuto l’impressione di trovarsi su un palco: «Era un pezzo di teatro, persone vere che dicevano cose vere, eppure sembrava finzione». Il confine sfuma. Il risultato è al tempo stesso film di famiglia, riflessione politica, atto d’amore. «Più di un documentario, è un vero documento», sottolinea la regista, che firma la sceneggiatura con Stefano Savona.
La squadra dietro la macchina da presa
La produzione è sostenuta da Francesco Virga per MIR Cinematografica, Traudi Messini per MEDIAART Production Coop e Fedele Gubitosi per VIDEA. Insieme, hanno permesso a una storia intima e complessa di arrivare sul grande schermo, offrendo al pubblico la possibilità di osservare un padre, una figlia e un intero secolo attraverso la lente di una videocamera.












