
Il bambino corso e il peso di un accento estraneo
Cresciuto ad Ajaccio, nel cuore della Corsica, il giovane Napoleone Bonaparte trascorre l’infanzia immerso in un idioma familiare che mescola inflessioni italiane e cadenze isolane. Quando, a nove anni, varca i cancelli dell’Accademia militare di Brienne-le-Château, scopre che il francese rappresenta la chiave d’accesso al potere e al prestigio, eppure quella lingua gli scivola sulle labbra con un suono che tradisce origini considerate provinciali. I compagni sorridono, lo sbeffeggiano, lo isolano; lui incassa, memorizza ogni beffa e decide di trasformare la ferita in risorsa.
Studio ossessivo e sete di rivincita
Per annullare l’eco di quel dialetto, il ragazzo si getta sui libri con una determinazione famelica. Scorre pagine di Rousseau, spulcia saggi dell’Illuminismo, digerisce trattati di strategia, fino a padroneggiare con sorprendente rapidità la nuova lingua. L’accento, tuttavia, rimane. Quella lieve inflessione contribuisce a plasmare uno stile oratorio inconfondibile: frasi brevi, immagini vivide, imperativi secchi che lasciano il segno. Il timore di essere etichettato come straniero si converte così in un carisma capace di scuotere soldati e cittadini.
La statura media e il gigante della propaganda
Mentre l’insicurezza legata alla parlata lo rode dall’interno, all’esterno si diffonde un altro racconto. I registri medici descrivono Napoleone alto circa 1,69-1,70 metri,misura perfettamente nella media per la fine del Settecento,anzi leggermente superiore rispetto a molti coetanei dell’Esagono meridionale. Eppure le vignette satiriche d’oltre Manica lo rimpiccioliscono, lo trasformano in una miniatura grottesca. Ritrarlo come minuscolo serve a minarne la credibilità, a farne un bersaglio di scherno sui tavoli da tè londinesi. Il mito del “piccolo Corso” attecchisce, resiste ai secoli, arriva persino nei testi scolastici.
Quando la diversità diventa forza
Col passare degli anni, l’accento che avrebbe potuto tarpargli le ali diventa uno strumento di distinzione. Conoscere più idiomi gli offre una flessibilità mentale rara, un pensiero che attraversa confini lessicali per partorire slogan incisivi. Ogni parola, pronunciata con quella particolare cadenza, esce carica di energia, capace di convincere generali, magistrati, popolo. Ciò che era nato come fragilità si trasforma in marchio di fabbrica, mentre la leggenda di un imperatore troppo basso per il suo cappello continua a correre, nutrita più dalla fantasia che dal metro da sarta.












