
L’eco del 1976 torna attuale
Cinquant’anni fa, nel Cile stretto nella morsa di Pinochet, Adriano Panatta scese in campo con una maglietta rossa per dire no alla dittatura. Allora la protesta non fece rumore,solo molto tempo dopo quell’immagine venne riconosciuta come simbolo di dissenso non violento. Oggi l’ex campione, al telefono, rievoca quel momento per proporre ai calciatori dell’Italia un segno analogo di vicinanza alle vittime di Gaza.
Le qualificazioni mondiali in primo piano
Fra poche settimane gli azzurri affrontano due gare decisive con Israele: l’8 settembre su terreno neutro in Ungheria, il 14 ottobre al Bluenergy Stadium di Udine. La partita si gioca, come accadde a Santiago nel ’76, nonostante accese discussioni. E, mentre l’opinione pubblica chiede una presa di posizione, il tecnico Rino Gattuso prepara la squadra.
Politica e sport, voci che si incrociano
Le sollecitazioni di figure istituzionali come Laura Boldrini e Mauro Berruto spingono verso un gesto chiaro: c’è chi vorrebbe il boicottaggio, chi invoca un messaggio forte dell’Italia e chi critica il silenzio della Fifa. Il parallelo con la Russia, esclusa dopo l’invasione dell’Ucraina, riemerge in ogni dibattito.
Il pensiero di panatta sul dissenso
Secondo l’ex numero uno della racchetta azzurra il segnale dev’essere “educato e privo di violenza”. Un nastro al braccio, un inginocchiamento, una frase pronunciata in campo: sono solo esempi, perché non conta la forma ma l’etica. Il bersaglio, precisa, è la politica di Benjamin Netanyahu, non il popolo israeliano. Se la protesta degenerasse in fischi o insulti, aggiunge, sarebbe meglio rinunciare.
Una lezione che attraversa le generazioni
Per Panatta lo sport rimane vita, terreno di dialettica pacifica. Un gesto pulito, bello, evidente può ricordare al mondo che esiste sempre spazio per la solidarietà. come quella maglietta rossa, capace di parlare senza alzare la voce.












