
Nel cuore della Campania, a poca distanza da Pompei, un antico santuario di età arcaica ha custodito per oltre venticinque secoli un vaso di bronzo dal contenuto misterioso. Il recipiente, portato alla luce nel 1954 all’interno di un’area sacra risalente al 520 a.C.,giaceva accanto a sei hydriai,due anfore e un letto in ferro privo di corredo umano,un contesto che già allora aveva lasciato intuire un uso rituale dello spazio.
Nel bronzo un segreto color ambra
All’apertura, gli archeologi osservarono una sostanza densa, aranciata, aderente alle pareti metalliche. Per decenni le analisi si limitarono a escludere l’ipotesi del miele, puntando su grassi animali o vegetali alterati dal tempo, ipotesi tuttavia mai pienamente convincenti. Intanto il residuo, protetto dall’ossidazione del rame e da un ambiente relativamente stabile, continuava a racchiudere la sua storia chimica.
Gli strumenti della chimica moderna
Un’équipe guidata da Luciana da Costa Carvalho dell’Università di Oxford ha riesaminato il materiale impiegando gas-cromatografia e spettrometria di massa.Le firme molecolari ottenute corrispondono a quelle di miele e cera d’api contemporanei: zuccheri semplici come l’esoso,tracce di pappa reale,composti aromatici tipici dei favi. L’accentuata acidità rilevata deriva dalla lenta degradazione degli zuccheri e dall’interazione secolare con gli ioni di rame del vaso, un processo che ha contribuito alla conservazione ma ha anche modificato leggermente la matrice originale.
Il linguaggio simbolico del miele nell’antichità
Il letto vuoto,l’accesso limitato al recinto sacro e la presenza di contenitori pregiati suggeriscono un culto in cui la divinità veniva evocata attraverso offerte di cibo prezioso. Nell’immaginario greco il miele incarnava immortalità, purezza, comunicazione con il mondo ultraterreno. Gli autori dello studio interpretano quindi il contenuto liquido come dono destinato alla divinità, forse versato sul letto o consumato mediante libagione durante cerimonie riservate.
Nuovi scenari per lo studio dei residui archeologici
Lo stesso team sottolinea come questi micro-ecosistemi chimici aprano finestre inedite sulla trasformazione delle sostanze organiche nel tempo. Comprendere la vita di un residuo-dalla produzione al deposito, fino all’alterazione secolare-offre indizi preziosi non solo sulle pratiche cultuali, ma anche sull’attività microbica antica, sulle interazioni tra materiali organici e metalli e sulla storia ambientale dei siti archeologici.












