
Finalmente la Cina che appare sullo schermo non è quella dei campi sterminati o delle fabbriche improvvisate. L’opera prima di Lin Jianjie, intitolata Breve storia di una famiglia, offre l’immagine di un Paese urbano e borghese, popolato da grattacieli di vetro che riflettono un benessere in rapida ascesa, lo stesso futuro che tanto inquieta Donald Trump.
Un acquario domotico per teatro del dramma
Il film,in sala dal 31 luglio con Movies Inspired,sembra girato all’interno di un sofisticato acquario high-tech: l’abitazione ultramoderna di un affermato biologo,interpretato da Zu Feng,che ascolta Bach nella propria stanza mentre la moglie,ex hostess,ha il volto di Guo Keyu. I suoni elettronici delle porte automatiche e le pareti di vetro trasformano la casa in una gabbia elegante,perfetta per un thriller esistenziale costellato di silenzi.
Il fascino ambiguo di un ospite inatteso
Tutto resta sotto controllo finché wei, sedicenne timido e curioso (portato in scena da Lin Muran), fa entrare nella sua vita il solitario Shuo, incarnato da Sun Xilun. L’adolescente, orfano di madre e con un padre alcolizzato e violento, conquista lentamente la fiducia dei coniugi. Quel ragazzo povero ma pieno di talento seduce il nucleo familiare con la stessa forza dirompente vista in pellicole come Parasite e Mr Ripley: un estraneo che irrompe e scompiglia ogni equilibrio.
Tra Sundance e Berlino la corsa del debutto di Lin Jianjie
Il lungometraggio, selezionato sia al Sundance 2024 sia al settantaquattresimo Festival internazionale del cinema di Berlino, scorre come un’indagine sull’identità: chi è davvero Shuo? E fino a che punto ciò che racconta corrisponde alla verità? In attesa delle risposte, lo spettatore resta invischiato in un’atmosfera carica di attese, dove i silenzi parlano più degli sguardi e la città futuristica rispecchia speranze e timori di una generazione in bilico tra tradizione e modernità.











