
Il primo incontro con un padre in frantumi
Il sipario si apre su New york, cupa e febbrile, dove vincent Anderson – volto e nervi di Benedict Cumberbatch – tenta di sopravvivere al peggiore degli incubi. Il suo bambino, Edgar, svanisce lungo il tragitto verso la scuola e l’assenza divora ogni cosa. Il matrimonio con Cassie era già incrinato, il lavoro su un programma per ragazzi vacilla, gli amici prendono le distanze. In questa spirale si manifesta Eric, un enorme pupazzo blu disegnato proprio da Edgar: presenza che alterna consolazione e tormento, bussola e mina vagante.
L’indagine di Ledroit, una voce fuori dal coro
Mentre Vincent scivola nei ricordi, un’altra storia si intreccia. Il detective Michael Ledroit, interpretato da McKinley Belcher III, cerca la verità non soltanto su Edgar ma anche su un secondo minore scomparso. La sua omosessualità, vissuta con cautela negli anni dell’AIDS, lo pone in rotta di collisione con colleghi corrotti e un sistema ostile. Il caso diventa specchio di una città che preferisce nascondere sotto il tappeto discriminazioni e ingiustizie, invece di affrontarle.
New York come personaggio vivo e minaccioso
Nella miniserie, i vicoli illuminati da neon malato, i tunnel della metropolitana e i grattacieli che scrutano dall’alto formano un labirinto visivo. La fotografia predilige tonalità fredde, ombre profonde e riflessi violacei; la colonna sonora amplifica quel battito costante di ansia che accompagna i protagonisti.Non c’è cartolina romantica: il contesto urbano divora, stringe, plasma le emozioni.
Un Cumberbatch al limite, senza rete di protezione
L’attore britannico spezza l’immagine dell’eroe impeccabile. Vincent balbetta, suda, sbaglia, implode eppure, in qualche modo, funziona. Ogni tic e sospiro raccontano l’amore di un padre disposto a qualunque follia: riportare Eric nello show televisivo, convinto di attirare così il figlio a casa. L’idea oscilla tra genialità disperata e delirio, mantenendo lo spettatore sul filo teso fra realtà e immaginazione.
Il confine sottile tra colpa e salvezza
La serie esplora la paternità mutilata, la dipendenza che anestetizza, la colpa che pesa come un macigno. Eric, pupazzo ma anche alter ego, diventa simbolo di un ponte fragile tra passato e presente. È fantasia che protegge, ma pure miraggio che rischia di ingannare. Nel percorso, la regia preferisce la tensione costante al colpo di scena facile, usando allucinazioni e silenzi per far respirare la storia.
Sei episodi dal respiro unico
Ogni capitolo avanza, spingendo in avanti la trama o scavando negli abissi dei personaggi. La ricostruzione degli anni Ottanta evita la nostalgia patinata: dettagli di moda,pubblicità sbiadite,cabine telefoniche malandate,tutto racconta un’epoca ferita.Gli autori dosano i dialoghi e permettono ai momenti muti di parlare, componendo un mosaico che rimane sotto pelle.
Perché ritrovarla oggi su Netflix
Tra thriller, dramma familiare e spunti psicologici, “Eric” offre un viaggio denso, anticonvenzionale, capace di risvegliare ferite antiche e domande sempre attuali: quanto lontano può spingersi l’amore quando la paura di perdere tutto diventa insopportabile?












