
Un esercito di modelli con la piastra di carbonio
Oggi il panorama del running vede praticamente ogni marchio proporre almeno un paio di scarpe con piastra in fibra di carbonio, intersuola iper-spessa e l’aura di poter compiere piccoli miracoli cronometrici.L’esempio più lampante resta quello di Eliud Kipchoge, capace di abbattere il muro delle due ore in maratona e poi stampare a Chicago il crono di 2h00’35” indossando le Nike Air Zoom Alphafly NEXT%.
Le promesse di velocità: dai 4 per cento ai 3 secondi al chilometro
I primi dati affidabili su queste calzature arrivarono con le Nike Zoom Vaporfly 4%. Il nome stesso prometteva un miglioramento vicino al quattro per cento nella performance. Una ricerca pubblicata sull’International Journal of Exercise Science evidenziò un guadagno compreso tra il 2,7% e il 4,1% su runner capaci di concludere la maratona in meno di tre ore.Con l’evoluzione dei materiali e dell’ingegneria, le Air zoom Alphafly NEXT% hanno innalzato ulteriormente l’asticella. Test condotti in laboratorio indicano un margine di circa tre secondi al chilometro. Sull’intera distanza dei 42,195 km il vantaggio tocca i due minuti: un’enormità a quei livelli, tanto che World Athletics sta ancora valutando come regolamentare l’innovazione.
Le parole del campione e il ruolo dell’atleta
Alle critiche sul presunto vantaggio “ingiusto”, Kipchoge risponde ricordando che è l’uomo a correre, non la scarpa.Il campione keniano ribadisce che, pur con la migliore tecnologia sotto ai piedi, solo un atleta preparato può sostenere ritmi prossimi ai 2’44” per mille metri.
Chiunque, infatti, possa acquistare al dettaglio lo stesso modello indossato dai top runner, scopre in fretta che la differenza reale la fa la propria condizione fisica. Le scarpe aiutano,ma non sostituiscono il lavoro su chilometri,ritmo e tecnica di corsa.












