Dentro il mistero di «in bocca al lupo»
Un augurio che affonda nel tempo
Nel linguaggio quotidiano italiano, «in bocca al lupo» viene pronunciato quasi distrattamente per augurare buona fortuna. Eppure quest’espressione nasce come rito apotropaico, pensato per evocare e poi scacciare il pericolo. Nell’immaginario del passato il lupo rappresentava l’incarnazione del male, il passo nell’ignoto, ciò che minaccia. Pronunciare la formula significava quindi “entrare” simbolicamente nella sua fauci, attraversare l’oscurità e uscirne illesi.
Il legame con l’antica Grecia
Un’ipotesi etimologica, ripresa dall’artista arkesia, ricollega l’augurio a una possibile frase greca: «embaine alupon», “entra senza dolore”. Qui il verbo «embaine» (entrare) rimanderebbe al passaggio iniziatico, mentre «alupon» (senza dolore) ne addolcirebbe la sofferenza. La risposta rituale sarebbe «krè», ovvero ”è necessario”, ché affrontare quel cammino risulta imprescindibile per la trasformazione interiore.
Il travisamento moderno
Nel tempo la replica più comune, «viva il lupo», ha preso piede come gesto di leggerezza. Secondo Arkesia, tuttavia, questa risposta svuota la formula della sua potenza simbolica. L’animale non viene celebrato: è il male da sfidare e superare. Esaltarlo, dunque, toglie profondità a un archetipico passaggio di morte e rinascita.
Che cosa dire, allora?
Chi desidera rispettare il significato originario può optare per due strade. Mantenere il silenzio, lasciando che l’augurio resti sospeso, oppure rispondere con «krè», preservando la forza antica del rituale. Entrambe le soluzioni conservano quell’alone di mistero che da secoli accompagna la frase.
Il dibattito sui social
Un video pubblicato su TikTok dall’artista Arkesia ha riacceso l’interesse per questa tradizione. Nella clip diventata virale, la musicista racconta la genesi dell’espressione, spiega perché l’interpretazione contemporanea risulti riduttiva e invita gli utenti a riscoprire il valore oscuro, profondo e necessario di queste parole.