
Perché in quota la luce picchia più forte
Sulle cime dell’Arco Alpino e degli altri rilievi, l’aria rarefatta lascia passare una quantità maggiore di ultravioletti. Ogni 1000 metri di dislivello l’intensità cresce di circa 10 %. Se ci si spinge su neve o ghiaccio, la riflessione può raddoppiare l’esposizione: il bianco candido rimanda verso il volto fino all’80 % della radiazione.
Scottature, oftalmie e tumori cutanei: i principali rischi
Il primo campanello d’allarme è l’eritema, ma la bruciatura può diventare di II grado con vesciche dolorose. Gli occhi non sono da meno: congiuntivite, “cecità da neve” temporanea e, talvolta, riattivazione di una cheratite erpetica. Più insidioso, nel lungo periodo, è l’aumento di probabilità di sviluppare carcinomi cutanei.
Colpo di calore: quando il termometro interno supera i 40 °C
la termoregolazione mantiene il corpo intorno a 36 °C, con oscillazioni minime.In giornate afose l’organismo dissipa calore sudando; se il sudore evapora male, la temperatura sale rapidamente. Stanchezza improvvisa, sete intensa, vertigini e nausea segnalano l’emergenza. Nel caso estremo si può giungere al coma. Bambini e anziani, che percepiscono meno la sete, rimangono i più vulnerabili.
Il parere di chi in quota vive ogni giorno
Il gestore del rifugio dorigoni in Val di Rabbi, Lorenzo Iachelini, osserva un numero crescente di ospiti che arrivano già arrossati. Turisti provenienti dal Nord Europa sono convinti che l’aria frizzante basti a proteggere la pelle, ma si sbagliano. Mappe meteo dedicate indicano valori UV anche superiori a 8 intorno ai 3000 metri: in queste condizioni il consiglio scientifico è evitare l’esposizione diretta.
Strategie pratiche per ridurre i danni
Crema solare con fattore 50+ da spalmare prima di uscire e riapplicare ogni due o tre ore resta la prima linea di difesa. Vanno coperte tutte le aree scoperte, incluse orecchie e dorso delle mani. Il cappello ideale ha falda larga, più utile del classico berretto con visiera; per i piccoli la tesa ampia è quasi obbligatoria.
Gli occhiali devono proteggere lateralmente: i modelli pensati per il ghiacciaio impediscono ai raggi riflessi di entrare ai lati e non si appannano facilmente.
Chi soggiorna in rifugio a 2500 metri dovrebbe evitare di togliersi la maglia nelle ore centrali: due ore a torso nudo possono trasformarsi in un’ustione generalizzata.
Chi deve fare ancora più attenzione
Persone dalla carnagione chiara accumulano rischio extra ad ogni esposizione e dovrebbero scegliere protezioni “altissima”. Le categorie fragili, come anziani o soggetti con malattie croniche, possono soffrire di disidratazione, ipotermia notturna e problematiche d’alta quota oltre ai classici colpi di sole. I bambini, non vanno esposti senza t-shirt o cappellino: le ustioni nell’infanzia predispongono a problemi cutanei in età adulta.
Verso un’abbigliamento tecnico più sicuro
Le case produttrici di capi montani raramente indicano il valore UPF sugli indumenti, a differenza di quanto avviene per il beachwear o per l’abbigliamento ciclistico. Un investimento in ricerca su tessuti che filtrino meglio gli ultravioletti aiuterebbe gli escursionisti a muoversi sopra i 2000 metri con maggiore serenità.












