
Il lungo silenzio del Toromiro
Per oltre sessant’anni il toromiro (Sophora toromiro) – piccolo albero dai fiori gialli, di enorme valore ecologico e simbolico – è rimasto presente solo in erbari e collezioni di orti botanici. L’ultimo esemplare selvatico era sopravvissuto in un punto impervio presso il cratere del vulcano Rano Kau, quando sull’Isola di Pasqua la vegetazione originaria iniziava a cedere il passo alle colture introdotte dai primi gruppi polinesiani. L’arrivo di pecore e bovini, insieme a un intenso disboscamento per ricavare utensili e imbarcazioni dal suo resistente legno marrone, aveva completato la scomparsa di questa specie dall’habitat naturale nel 1960.
Semi in viaggio verso il futuro
Negli anni ’50 l’agronomo Efraín Volosky, dalla stazione sperimentale di Rapa Nui, aveva raccolto semi e li aveva inviati al giardino Botanico di Viña del Mar; nello stesso periodo l’antropologo norvegese Thor Heyerdahl aveva spedito altro materiale genetico in Europa. Grazie a quelle spedizioni il toromiro era sopravvissuto lontano da casa, custodito in serre e giardini.
Nuova vita nei vivai cileni
nel 2006 sei piantine discendenti dall’ultimo albero selvatico erano arrivate al vivaio Carlos douglas di Bío Bío, dando il via a un programma di conservazione curato da CMPC. In parallelo erano state messe a dimora mille piantine nella Riserva nazionale Lago Peñuelas in Valparaíso; solo centosettanta avevano resistito alle condizioni climatiche. In quegli anni erano state affinate tecniche di propagazione vegetativa,di innesto,protocolli di salvataggio di embrioni e di moltiplicazione del germoplasma,strumenti oggi indispensabili per affrontare la sfida del ripristino.
Tecnologia e bioreattori a supporto della rinascita
Dal 2019 CMPC ha cominciato a inviare piante sull’isola per test controllati, convinta che reintrodurre una specie senza ricreare l’ecosistema che la sosteneva non serva a nulla. I semi provenienti dal Giardino Botanico di Viña del Mar sono stati fatti germinare a Los Ángeles con due approcci: metodo convenzionale da vivaio e coltura in bioreattori, dove l’ambiente è totalmente controllato. I semi di Sophora toromiro presentano un tegumento molto coriaceo; per questo subiscono un pre-trattamento che ne ammorbidisce la superficie, permettendo la fuoriuscita della radichetta. Dopo la schiusa vengono posti in capsule di Petri, quindi trasferiti nei bioreattori con soluzioni nutritive, e testati anche su substrati di perlite o vermiculite per monitorare lo sviluppo delle radici.
Il ritorno sull’isola
A luglio sono partite dalla regione del Bío Bío duecentottantasette piantine di toromiro accompagnate da tre lotti di materiale vegetale: giovani plantule stabilizzate in bioreattori,esemplari con radici già avviate in contenitori,semi germinati pronti al trapianto. Il carico, protetto da una soluzione gelatinosa, ha viaggiato via terra fino a Santiago per circa cinque ore e mezza; altrettante ore di volo lo hanno poi condotto a Rapa Nui, dove gli operatori della Conaf lo hanno accolto e trasferito al vivaio Mataveri Otai.
Ricostruire la foresta perduta
Il toromiro storicamente cresceva all’ombra di palmeti e di altre specie della volta arborea. Per ripristinare quell’effetto “nutrice”, insieme alle piantine sono state inviate ventiquattro Jubaea chilensis (palme cilene) e sono stati messi a dimora anche esemplari di Makoi’i (Thespesia populnea), presenti sull’isola e capaci di offrire copertura. La vegetazione originaria di Rapa Nui era scomparsa a causa di incendi, mutamenti climatici e conversione agricola; oggi l’isola è ricoperta per lo più da graminacee, condizione che rende necessario creare nuovamente spazi d’ombra e protezione.
Il sostegno invisibile dei batteri del suolo
La prolungata assenza del toromiro aveva cancellato dal terreno batteri fondamentali per la fissazione dell’azoto. Dal 2018, con l’Università di Concepción, sono stati condotti test di inoculazione con microrganismi benefici che hanno riattivato l’attività biologica del suolo, migliorando la risposta delle piante.
Biodiversità oltre il toromiro
Nel centro di ricerca di CMPC non si lavora soltanto con pino ed eucalipto, destinati alla produzione, ma si portano avanti progetti di conservazione per altre specie autoctone. Vengono moltiplicati il ruil, l’alloro, il copihue e, con tecniche di propagazione controllata, si sostiene un programma dedicato all’araucaria araucana.












