
Nelle pagine di Jonas degli stambecchi l’aria fina delle Dolomiti soffia lenta, portando con sé neve appena caduta, orme di cervi e il fruscìo dei larici. L’autore, Claudio Ghizzo, uomo diviso tra la corsia d’ospedale e l’obiettivo fotografico, fa vibrare la carta con la stessa delicatezza con cui osserva la natura: ogni fiocco, ogni nuvola, ogni cresta rocciosa diventa voce narrativa.
Un ritorno che sa di rinascita
Il protagonista Jonas abbandona la frenesia urbana, dominata da clacson e neon, per riaprire le imposte di un vecchio tabià ricevuto in eredità dal nonno. Le stanze odorano ancora di legno stagionato e di ricordi, mentre fuori il paesaggio invita al silenzio: è qui che l’uomo sceglie di ritrovare se stesso. Gli appostamenti fotografici ai piedi dei larici s’intrecciano ai turni in Pronto Soccorso, creando un ritmo interiore che oscilla tra urgenza e contemplazione.
Paesaggi interiori e animali fieri
Tra creste candide e vallate ombrose, l’incontro con gli stambecchi diventa specchio dell’anima: quegli animali, liberi e prudenti, riflettono la fragilità e la forza del protagonista. Attorno a lui si muovono figure di montanari dall’occhio antico, donne e uomini temprati dal gelo, capaci di regalare parole scabre come la roccia ma dense di calore umano.
L’amore perduto e la lotta per la quiete
Nella memoria di Jonas vibra ancora un sentimento non concluso, un amore lasciato tra i rumori della città. Il desiderio di solitudine si mescola alla nostalgia, in un equilibrio precario che ogni giorno viene messo alla prova dalla sirena dell’ambulanza o dal richiamo di un capriolo. La montagna diventa così non solo rifugio, ma campo di battaglia interiore, dove il protagonista impara a riconoscere il valore dei piccoli gesti: l’acqua che bolle sul fornello, il crepitio della stufa, il battito d’ali di una poiana in cielo.
Una prosa autentica e profonda
La scrittura di Ghizzo scorre con ritmo poetico, ferma l’attimo e lo fa respirare al lettore. I suoni si attenuano, i colori si accendono: il romanzo dipinge un mondo nel quale la bellezza non grida, ma sussurra, e in quel mormorio ciascuno può ritrovare la propria voce.












